Contratti di appalto: la prova dei vizi e delle difformità dell’opera grava sul committenteCon decreto ingiuntivo, il Tribunale di Ferrara ingiungeva il pagamento, a carico della A. S.r.l. e a favore della T. S.r.l., della somma di euro 27.908,04, oltre interessi legali, a titolo di corrispettivo dovuto per il subappalto eseguito presso un cantiere. La A. S.r.l. proponeva opposizione avverso l’emesso provvedimento monitorio, chiedendo che fosse disposta la riduzione del prezzo del contratto di subappalto, ai sensi dell’art. 1668 c.c., nella misura ritenuta equa e di giustizia, a fronte dei vizi e difetti dell’opera svolta, con la condanna di T. al risarcimento dei danni.
Il Tribunale rigettava l’opposizione e confermava l’opposto decreto ingiuntivo, rigettando altresì la domanda di riduzione del prezzo per difformità e vizi dell’opera, in quanto (benché l’eccezione di decadenza fosse tardiva) sfornita del necessario supporto probatorio, e la connessa domanda risarcitoria, in quanto carente anche sotto il profilo allegatorio (essendo stata riferita ad un generico pregiudizio procurato alla propria immagine e credibilità commerciale).
La A. S.r.l. proponeva appello.
La Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza appellata, dichiarava l’inesistenza del credito azionato con il decreto ingiuntivo e conseguentemente revocava il decreto ingiuntivo opposto, confermando, nel resto, le statuizioni della sentenza appellata, con l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza d’appello T. S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, cassa con rinvio la sentenza impugnata.
Il principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive prevede che — allorché il committente eccepisca l’inadempimento dell’esecutore — l’appaltatore abbia l’onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25410 del 23/09/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 16312 del 12/06/2024; Sez. 2, Sentenza n. 1634 del 24/01/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 98 del 04/01/2019; Sez. 2, Sentenza n. 936 del 20/01/2010; Sez. 2, Sentenza n. 3472 del 13/02/2008).
Tale principio risponde all’esigenza di assicurare, in tema di condanna all’adempimento nei contratti a prestazioni corrispettive, che la parte la quale chieda in giudizio l’esecuzione della prestazione dovuta (ex. il pagamento del prezzo) non sia, a propria volta, inadempiente. Di conseguenza, l’appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l’onere di provare di avere adempiuto la propria obbligazione, ossia di aver eseguito l’opera.
Tuttavia, il diritto alla eliminazione o alla modificazione (quanto al prezzo) del contratto di appalto ovvero alla risoluzione, che vuol far valere il committente che esperisca le azioni di cui all’art. 1668 c.c., per essere garantito dall’appaltatore in ordine ai difetti della cosa commissionata, si fonda sul fatto dell’esistenza dei difetti medesimi. La prova di tale esistenza grava, dunque, in linea di principio, sul committente. E ciò anche in applicazione del principio di vicinanza della prova e del tradizionale canone riassunto nel brocardo latino negativa non sunt probanda.
Ne discende che prima dell’accettazione la prova dell’assenza delle imperfezioni denunciate compete all’artefice; dopo l’accettazione, anche tacita, la dimostrazione dell’esistenza spetta all’ordinante. In particolare, laddove il committente denunci la presenza di difformità, basta che questi provi la mancata osservanza di determinate pattuizioni, senza che sia necessario fornire la dimostrazione che l’opera ha un valore o rendimento minore: potendo tale scostamento essere fatto valere anche nelle ipotesi in cui l’opera risulti avere un maggior valore.