I contratti di locazione commerciale nell’emergenza Covid-19 – pagare o non pagare il canone di locazione?In questi giorni di caos, soprattutto normativo, si leggono e si sentono svariate teorie, più o meno corrette, sulla sorte dei contratti di locazione commerciale relativi a quelle attività che hanno dovuto per un certo periodo e che, almeno in parte, oggi sono ancora chiuse o a “mezzo servizio” (es. bar, ristoranti, negozi di abbigliamento, parrucchieri etc.).
Cerchiamo di chiarire la questione.
I vari decreti del Governo non sono praticamente intervenuti nella materia dei contratti di locazione commerciale, se non prevedendo un credito di imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione (per il solo mese di marzo), ma relativamente solo ad alcuni tipi di immobili e precisamente quelli della categoria catastale C1 (negozi e botteghe). Nulla quindi per gli altri immobili quali uffici, magazzini, laboratori.
Non rimane quindi che ricorrere alle norme esistenti.
Diciamo, innanzitutto, che la prestazione di pagamento di una somma di denaro (canone di locazione), in quanto prestazione fungibile, non può per sua natura divenire impossibile.
Sicuramente l’emergenza Covid-19 rientra tra i c.d. fatti imprevedibili che possono essere motivo di risoluzione di un contratto di locazione commerciale, ovviamente per fatto non imputabile ad alcuna delle due parti (locatore e conduttore). E quindi:
- lecitamente il conduttore potrebbe ricorrere al diritto di recesso previsto dall'ultimo comma dell’art. 27 della L. 392/78 che regola la durata dei contratti di locazione ad uso non abitativo. C’è però da rispettare un preavviso di sei mesi;
- in alternativa il conduttore potrebbe domandare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, prevista dall'art. 1467 del Codice Civile, ovvero per impossibilità sopravvenuta di ricevimento della prestazione del locatore secondo quanto previsto agli articoli 1256 e 1463 del Codice Civile.
In tutti questi casi, tuttavia, l’effetto è sempre lo stesso e cioè la risoluzione del contratto. Ma non è detto che lo scioglimento del rapporto sia l’effettivo obiettivo del conduttore. Anzi, con tutta probabilità questi avrà interesse a riaprire il prima possibile la propria attività e discutere con la proprietà solamente il pagamento dei canoni di locazione per il periodo in cui ha dovuto tenerla chiusa ovvero lavorare a “mezzo servizio”.
In ogni caso, i tempi per ottenere lo scioglimento del contratto non sarebbero brevi; in caso di recesso si dovrebbero attendere i sei mesi previsti dalla norma, con l’obbligo nel frattempo di pagare i canoni, e negli altri casi si dovrebbero attendere i tempi della giustizia, in questo momento ulteriormente rallentata a causa dell’emergenza.
Ma allora che fare?
Consigliare a un conduttore di non pagare i canoni di locazione per il periodo di chiusura, adducendo il fatto che la prestazione del locatore (e cioè la messa a disposizione dell’immobile) sarebbe divenuta impossibile, è sicuramente un azzardo e da evitare; questa strategia, infatti, metterebbe il conduttore in una posizione di grave inadempimento contrattuale. Del resto, bisogna tenere ben presente che, nel periodo di chiusura dell’attività commerciale il conduttore comunque ha continuato a godere dell’immobile, seppur in misura ridotta, ad esempio utilizzandolo come deposito/magazzino per la propria merce e per i beni aziendali. Di conseguenza l’impossibilità della prestazione del locatore (il mettere a disposizione l’immobile) potrebbe essere tuttalpiù parziale con conseguente diritto del conduttore ad ottenere una riduzione parziale del canone di locazione.
Ma cosa fare per ottenere questa riduzione?
Probabilmente lo stesso conduttore potrebbe autoridurre il canone in forza del principio dell’eccezione di inadempimento prevista dall'art. 1460 del Codice Civile, salvo poi rischiare di subire un’azione giudiziale da parte del locatore per il pagamento della differenza dei canoni.
Un’altra alternativa potrebbe essere quella di chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sperando che sia il locatore a chiedere la riduzione del canone in via equitativa, onde evitare la risoluzione del contratto. In questo caso, però, la sopravvivenza o meno del contratto dipenderà dalle decisioni del locatore il quale potrebbe anche non aver alcun interesse a subire una riduzione del canone preferendo, piuttosto, chiudere il rapporto.
Pur in mancanza di una norma che obblighi le parti a rinegoziare un contratto, una soluzione interessante, letta in questi giorni su alcune riviste specializzate, potrebbe essere quella di consigliare la sospensione dei pagamenti con contestuale invito rivolto al locatore per rinegoziare il contatto (quantomeno per il periodo di chiusura), e cioè ricorrendo al principio generale in materia contrattuale che prevede l’obbligo, per entrambe le parti, di tenere, nel corso dell’esecuzione del contratto, un comportamento corretto ed improntato alla buona fede (art. 1375 Codice Civile). Sul punto però ci sono pareri discordanti.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che l’unico modo per ottenere una soluzione veloce e soddisfacente per entrambe le parti, sia quello di sedersi ad un tavolo e tentare di rinegoziare il contratto. L'alternativa sarà il contenzioso giudiziale.